Collana del Museo d’Arte Contemporanea in America Centrale

Quando riflettiamo sulle tematiche e sulle poetiche del passato, oppure dell’Ottocento e del Novecento, tutto appare chiaro, definito e definitivo. L’arte della fine del secolo scorso e dell’inizio di questo Terzo Millennio ci appare più criptica. Il pittore Giovanni Tenga, sicuramente di tendenza figurativa, per quanto si veda nelle sue opere la trascendenza del simbolismo, a mio avviso ha uno stilema dove si può fortemente percepire l’immanenza di una visione che non si è lasciata tentare da soluzioni facili di una ricerca astratta, per quanto le sue figure siano costantemente in bilico con l’informale.

Riferendomi all’analisi di questi tre dipinti penso di trovarmi in accordo con le motivazioni di un pubblico attento che per due mesi su invito di Valentina Campatelli ci fornivano riflessioni tanto scritte quanto verbali. Sono confortato da questa riflessione collettiva nell’affermare che, tra le motivazioni di Giovanni Tenga ,una delle primarie è esprimere i valori di fondo della vita ,anche le passioni dell’uomo.

L’artista è un colorista raffinato, la sua tavolozza si avvale di una pigmentazione violenta e contrastata che però vediamo attenuarsi ed addolcirsi in opere come La forma ignuda che sconcerta per la sapienza tecnica per cui una figura umana totalmente bianca si staglia,  anche lì dove non c’è il nitido disegno di contorno, su un panneggio altrettanto bianco quasi in maniera meglio definita della mano e parte del braccio proiettati su un fondo nero; tutto il resto è colore che si distingue dagli altri due quadri per le tonalità più dolci nonostante sembrano comprendere tutto lo spettro dell’arcobaleno.

Mi soffermo ancora su quest’opera anche perché mi offre l’opportunità per affermare che Tenga deve avere una grande conoscenza della tradizione pittorica, tanto da poter aver trasformato la figurazione in una chiave del tutto personale, originale ed innovativa. I volumi, rappresentati anche dal piano su cui appoggiano due libri con sopra una scatola, per quanto un semplice particolare dell’opera tutta, li vedo come un richiamo al tradizionale; tutto il resto, ma soprattutto la “figura ignuda”, è novità ed invenzione, non c’è più la preoccupazione di un’anatomia realistica perché qui è rappresentata l’idea.

D’altronde anche negli altri due quadri, per quanto abbia scritto e sia facilmente visibile la forte differenza delle tonalità perché così marcate, esiste un medesimo modus operandi; Giovanni Tenga di nuovo raffigura un archetipo, spero di non trovarmi in contrasto con il suo pensiero affermando che, pur rimanendo sempre in un ambito figurativo, tutta la composizione e magari ancor più i personaggi stessi mi rimandano al pensiero platonico, all’idea dell’iperuranio.

Il quadro Il crogiuolo di paglia sposta continuamente l’attenzione da una scenografia affascinante tanto per la sua strutturazione quanto per la coloristica e per le figure umane che si confondono all’interno del loro preciso disegno; poi ancora figure inserite ai lati in questa pittura tonale e variegata che pare un gioco di riflessi di antiche vetrate gotiche reinterpretate in una chiave futuristica.

Andiamo poi a Le miserie umane: questa tematica ha attraversato la Storia dell’Arte nei secoli, ha avuto rappresentazioni di indicibile maestria ed in qualche modo deve aver attratto l’attenzione di ogni Maestro, ovviamente nella contemporaneità non ci si poteva ricondurre all’ ”affresco” delle umane miserie per esempio di un Bruegel. Allora di nuovo Tenga risolve con la sua particolare coloristica prepotente e con quell’indefinito che crea la sensazione della moltitudine; un indefinito che si manifesta ancor più in quei piedi incrociati dai quali non sgorga sangue, dove non vi è traccia di chiodi, ma dove la posizione delle ginocchia ancor più dell’asse di legno parlano in modo così eclatante da rendere superfluo il dipingere il resto del corpo che magnificamente va oltre il limite della tela e che il pittore lascia semplicemente e sapientemente alla nostra immaginazione. Il contorno nero dato con pennellata spessa e che dal Cristo prosegue a contornare alcune figure e da piegarne anche la testa racconta quello che il titolo del quadro ci indica, ci inquieta e ci trasmette dolore.

In questo genere di composizione, e parlo di tutte le opere esposte e nel catalogo riprodotte, è segnata una svolta nel simbolismo pittorico, tramite la potenza dell’espressione e della visione dell’artista che coglie e decifra l’enigma delle immagini primitive, pone l’accento sul fatto che arte è comunicazione; in opere come queste, quando è così profonda direi anche istintiva, diventa comunione di sensazioni tra l’autore e l’osservatore.

Ciò che nella concretezza, nell’astrazione e nell’immaginazione è presente in una realtà universale, l’artista lo percepisce e lo vede nel suo momento creativo; quindi più che un soggetto riproduce un’idea. Realizza poi linee e colori, interpreta la profondità, rivendica la libertà di esprimersi a suo piacimento; nei quadri di Tenga c’è fascino ed inquietudine, quasi una liturgia, immaginazione gotica, simbolismo criptico, anche opera di poeta.

Gregorio Rossi

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Giovanni Tenga – Il flusso cromatico dell’esistenza

di Serena Carlino

Potrebbe sembrare metafisico il linguaggio pittorico di Tenga. Surreale nella valorizzazione dello scenario decontestualizzato, romantico per le evanescenze tonali. La realtà è che Tenga è un maestro della sua realtà. Mi spiego: esistono pittori che raccontano ciò che vedono, altri che narrano quanto presente nel loro pensiero. Tenga racconta l’uno e l’altro, conducendoci verso una realtà personale che tende a sottolineare aspetti esistenziali evocativi di liriche atmosfere.  La tecnica segue il solco dei grandi maestri del novecento, privilegiando la valenza tonale e segnica. Nei suoi elaborati taluni accostamenti donano alla tela un effetto cromatico che denota una personalità stilistica proiettata verso la pura espressività. Nella cadenza della forme prendono corposità figure, scorci, frammenti di vita che coinvolgono l’osservatore in un alchemico equilibrio armonico.

 I rossi fiammanti, i blu misteriosi, i gialli e i bianchi evanescenti impreziosiscono il tratto deciso dell’artista, manifestando tutto il loro potenziale creativo.

 Ci ritroviamo in atmosfere sospese. Fotogrammi carpiti al quotidiano dai quali Giovanni Tenga sa estrarre con lirico incedere la magia di un incontro, il calore di un abbraccio o l’amarezza di un addio.  Le sue composizioni, attraverso un’attenta ricerca espressiva descrivono personali sensazioni nelle quali facilmente è possibile ritrovare echi dei nostri passi.  Sul piano percettivo, i suoi dipinti sanno donare un esplosione di vivacità, di vigore. Impianto compositivo dove linee e ampie campiture si susseguono sulla tela con un ritmo sicuro, conferendo alla struttura del dipinto un’elegante e armoniosa rappresentazione. Tenga nella sua arte racconta la sua storia,  riversando la sua anima.

Attimi di vita impressi nella materia della pittura, una materia che si snoda tra zone d’ombra e momenti di luce, pronta ad accogliere ombre e memorie tradotti dalla vibratile mano dell’artista.

 La sua indiscutibile padronanza della tecnica rende unica e personalissima la sua arte in un insieme di segni e colori densi di passione. Colori intensi, indice di una pittura che nasce dall’emozione, da impulsi profondi ma che nel contempo “analizza” ciò che vi è attorno: vibrazioni, malinconie, riflessioni, sentimenti che seguono il flusso della sua stessa esistenza.  Una pittura quindi che esprime al meglio la sua straordinaria sensibilità. Giovanni Tenga è un artista dalle caparbie capacità comunicative, le sue opere manifestano serene meditazioni, la conseguenza di saper valorizzare i piccoli grandi gesti del quotidiano.